sabato 26 febbraio 2011

Cinema boliviano: che delusione!

Il cinema riflette la personalità di un popolo, rispecchia l’identità di una nazione e la Bolivia non fa eccezione. Non fraintendete però, la Bolivia è bellissima, mi è piaciuta tantissimo, ma il suo cinema è inaccettabile ed intollerabile (Andrea mi passi quest’ultimo vocabolo), come sono alcune volte i boliviani. Quando, l’altra sera, abbiamo deciso di concludere la nostra avventura nella terra che ha visto morire il Che con un film locale, le aspettative erano piuttosto ottimistiche. Insomma, il cinema sudamericano sforna bei film, perché la Bolivia dovrebbe fare eccezione? E la fa, eccome, così come i suoi abitanti sono un’eccezione in Sudamerica. Sarà per il clima freddo e l’ambiente inospitale (gran parte del territorio è sopra i 3000 metri), ma qui le persone sono diverse, strane diremmo noi, anche se poi quello di strano è un concetto molto soggettivo. Insomma il carattere dei boliviani è inconsueto per quanto siamo abituati a vedere in questa parte della Terra: non sono festaioli (per me è un aspetto positivo), sono spesso bruschi e scortesi, vivono in un mondo tutto loro, in cui anche 8+7 si fa con la calcolatrice, dove destra e sinistra sono la stessa cosa, dove non esistono praticamente segnali stradali, dove i cani sono i benvenuti tra i generi alimentari del mercato, dove spesso quello che viene pubblicizzato non esiste o è totalmente diverso (si badi, non per cialtroneria, quanto piuttosto per mancanza di organizzazione) e dove il denaro non sembra avere poi molto peso. Sotto un certo punto di vista tutto questo è affascinate, per altri versi può diventare irritante in momenti particolari. La genuinità di questo popolo è invidiabile, così come lo sono le tradizioni ancora vivissime e il senso di appartenenza alle origini (le lingue come il Quechua, si esatto non è la marca di Decathlon, l’Aymara e altre sono insegnate a scuola e parlate spesso anche in famiglia). Ritornando al film,la pellicola, ‘Vitas Lejanas’ si proclamava come impegnata, trattando il tema gravoso dell’immigrazione, raccontata attraverso le storie di due donne. Allora, specifichiamo che l’assenza di soldi non è un alibi per quello che è stato proiettato sullo schermo: una versione trash di ‘Grazie Padre Pio’ di Giggione e Donatello..e ho detto tutto. Il problema sta nella pretesa di offrire un prodotto di contenuto, quando il contenuto non esiste: trama sconclusionata, pessimi attori, scene girate malissimo, pessima musica..ed io non sono un esperto. Questo è accaduto per una pellicola che sarebbe dovuta essere di spessore.

Se la loro genuinità può essere invidiabile, lo stesso non si può dire del cinema. A questo punto ha più senso il cinepanettone, in tutto il suo squallore.

Foto da Sucre

Plaza 25 de Mayo







Dattilografi per la strada..



Fontane colorate, Parque Bolivar







mercoledì 23 febbraio 2011

Da una capitale all’altra: La Paz e Sucre

In questi ultimi giorni abbiamo avuto modo di visitare le due capitali della Bolivia: quella amministrativa, Nuestra Senora de La Paz (o La Paz), e quella ufficiale, Sucre. Non potrebbero essere più diverse: la prima è un cuore palpitante, una realtà caotica, colorata e in continuo movimento, circondata da spettacolari rilievi montuosi.

Immagini di La Paz












Appena si arriva sembra di essere catapultati in un città asiatica, piena di suoni e rumori: quelli predominanti sono i clacson che suonano ogni secondo (in confronto a Roma guidiamo in maniera disciplinata) e le urla della gente che sporge dai finestrini o dagli sportelli dei mini van (una sorta di taxi abusivo) gridando i nomi delle destinazioni e caricando gente al volo. A noi italiani non può non ricordare Napoli: ma proprio come quest’ultima è anche una realtà unica, dove vedi scene che non vedrai da altre parti del mondo. Qui in pieno centro vedi uomini con le macchine da scrivere appostati per la strada e pronti a battere documenti (evidentemente le stampanti sono troppo care), ma la cosa più caratteristica sono i grovigli spaventosi dei cavi della luce, pazzesco! Se c’è un problema dove si mette mano? La zona dove alloggiamo è la più tipica: la gente locale è tutta vestita con abiti tipici e ci sono bancarelle che vendono di tutto, dai succhi di frutta messi nelle bustine per congelare a resti di animali morti, dalle magliette del Che ai prodotti fatti con lana di lama e alpaca, dal pane buttato per strada senza alcuna copertura alle foglie di coca a sacchi. Abbiamo passato qui alcuni giorni e abbiamo familiarizzato con alcuni posti e alcune vie quasi da sentirci a nostro agio in questo caos destabilizzante. A noi è sembrato che La Paz presenti tre facce: una tipica e turistica, una moderna, sullo stile europeo (tipo il quartiere Saporachi) ed una squallida, quella della periferia, come ogni grande città d’altronde. Fa impressione soprattutto la vicina El Alto, un obbrobrio edilizio tirato su in fretta e furia 25 anni fa. Qui va di moda la casa non finita (praticamente, quando va bene, solo la facciata è verniciata, il resto rimane in forati a vista, mentre nella maggior parte dei casi sono presenti solo forati) e con le finestre su di un solo lato. El Alto è un caos incredibile: gente che strilla, smog, macchine che strombazzano, tutti indaffarati come formiche a fare non si sa che. Una realtà a sé, interessante comunque da vedere e che vanta un bellissimo panorama su La Paz.

L’hotel/ostello dove alloggiamo è abbastanza buono a parte alcune pecche: la più grave è che nel sito viene pubblicizzata una colazione continentale mentre oltre a latte e caffè o thè e pane secco l’unica cosa disponibile è un casco di banane! Il buffet della giungla

Ma qui in Bolivia il customer service, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, è scadente: il personale dell’hotel vive nel suo spazio come se fosse a casa sua, a volte urlano o guardano la tv a tutto volume.

Da La Paz andiamo a visitare il lago Titicaca, 3841 metri s.l.d.l, che è il più profondo e più alto del mondo. La mattina partiamo senza fare colazione perché la cameriera arriva in ritardo con la sua inscalfibile lentezza. Dormiremo fuori tre notti: due a Copacabana e l’altra alla Isla del Sol, all’interno del lago. Quest’area è un paradiso: le foto servono più delle parole. L’ostello di Copacabana è il più accogliente dove sia mai stata: approfittiamo delle amache con vista panoramica per rilassarci e della cucina con vista lago per farci una super pasta pachino e cipolla! La isla del sol dista circa un’ora e mezza di barca dalla costa: qui non circolano veicoli e i sentieri sono tutti in salita. Il tempo è un po’ cupo ma contribuisce a rendere l’atmosfera suggestiva. Abbiamo trovato un ostello con una vista mozzafiato in cui paghiamo 5 euro a persona per una stanza con bagno privato decorato nella roccia. Con una faticosa camminata, resa ancora più difficile dall’altura che toglie il fiato, visitiamo delle rovine Inca.. La sera assaggiamo la famosa trota del Titicaca. Torniamo a Copacabana per un altro giorno di relax prima di immergerci di nuovo nel caos di La Paz. Sulle rive del lago facciamo la conoscenza con un ragazzo peruviano, più o meno della nostra età che tenta di lustrarci le scarpe. Ci racconta che è arrivato in Bolivia per lavorare ma che nella zona gli va male perché tutti hanno gli scarponcini da trekking mentre in città non è facile entrare nel giro. Vorrebbe tornare a lavorare nei campi con la sua famiglia ma deve prima trovare i soldi per i pullman, circa 220 boliviani. Sembra disperato: ci racconta che non mangia da ore e che ha dormito per strada la notte scorsa. La faccia è davvero quella della disperazione, ma mantiene una dignità invidiabile, gli leggiamo sincerità negli occhi. All’inizio gli diamo qualcosa poi decidiamo di pagargli tutto il viaggio (che per noi sono tipo 20 euro): non so se ci ha preso in giro ma se così non fosse non si può non pensare a quanto il mondo sia assurdo. Con una cifra che per noi vale la pizza è stato possibile cambiare la vita ad una persona di qui! Ma quanto è infame il mondo? Torniamo a La Paz (con un bus locale gremito di gente, anche in piedi, perché quello turistico prenotato non si è degnato di venire. Lo abbiamo fatto presente all’agenzia e le tipe hanno detto che ‘lo sientono muchissimo’.. cioè ce la prendiamo in quel posto!!). La sera con un bus notturno e una traversata di 13 ore arriviamo a Sucre. Alla stazione di La Paz tutti gli addetti alla biglietteria urlano la destinazione per accaparrarsi i clienti: è il delirio! Con un bus ‘superlusso’ che in realtà appare alquanto sgangherato e caratterizzato da una costante puzza di piedi. Partiamo per questa avventura. La mattina ci svegliamo a Sucre: una realtà molto più tranquilla. La città è ordinata e pulita, con belli edifici bianchi, ma forse è un po’ anonima dopo la forte personalità di Salta. Carino il mercato dove tutti i locali fanno spesa e dove i prezzi sono davvero bassissimi. Anche qui abbiamo l’uso cucina in ostello (lo abbiamo un po’ implorato perché non ce la facciamo più a mangiare porcherie. Ce lo hanno concesso per il solo pranzo). A cena abbiamo sperimentato una pizzeria con pizzaiolo boliviano che però ha studiato a Rimini, un locale di polli allo spiedo e un ristorante cinese in cui non conoscono né la soia né le bacchette e in cui l’unico cinese era il proprietario che però se ne stava per fatti suoi a vedere la tv. Da Sucre, passando per Potosi e Uyuni ritorneremo in Argentina. La nostra avventura boliviana è quasi finita: sinceramente sono contenta di ripassare il confine. La Bolivia è bella ma impegnativa e i boliviani sono pieni di contraddizioni difficili da capire per noi.. Emblematici sono i modi con cui si complicano la vita: è tutto più complicato, anche nel fare i conti per la spesa; una volta, in una bancarella, compriamo due prodotti, uno da 6 ed uno da 15 boliviani..andiamo in cassa e la ragazza:’15+6…uno, due, tre, quattro, cinque secondi, suggerisco ’21!’ e lei, dopo alcuni secondi..’si, 21..’. E di casi così ce ne sono svariati. Oppure le bilance al mercato. Spesso non sono fisse ma sono quelle che si tengono sospese con la mano e ad esse viene agganciato il peso. Ebbene, per la pasta o il riso riempiono la busta ad occhio, la chiudono con il nodo, la pesano e se il peso non corrisponde a quanto richiesto dal cliente, disfano il dono, aggiustano il contenuto e riprovano a pesare..e così via. Tutto con estrema lentezza.Insomma qui l’approccio alla vita è differente dal nostro: gli affari e le preoccupazioni della vita sembrano essere secondari rispetto all’importante arte (praticamente sacra) della tessitura, in cui i boliviani si dimostrano dei veri fenomeni..ma su questo scriveremo un intero post dedicato, ora vi lascio alle foto..ma prima un’ultima chicca boliviana da Sucre, all’agenzia per la prenotazione dei biglietti..chiediamo alla svampitona quale compagnia è consigliata e lei risponde che sono tutte uguali, allora decidiamo di prenotare per le 13; a questo punto lei: ‘no, meglio le 12 30, la compagnia che parte alla 13 non è affidabile e noi raccomandiamo l’altra..'

Isla del Sol, vista dalla camera




Vista della Cordillera Real dalla Isla del Sol



Rovine Inca sulla Isla del Sol













Iglesia San Francisco, Copacabana










Vista sul lago Titicaca